La transizione elettrica come opportunità occupazionale: il rapporto di Motus-E
Il passaggio dal motore endotermico a quello elettrico può creare nuove opportunità per la filiera della componentistica italiana, con una proiezione del +6% al 2030 in termini di occupazione; è essenziale reagire in tempo, programmando e supportando la riconversione.
L'industria automotive ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia italiana, apportando un contributo fondamentale in termini di occupazione e ricerca, così come allo sviluppo di alcune regioni e alla creazione di una filiera produttiva di qualità. Nel corso del tempo la globalizzazione, le sfide climatiche e l'affermazione di nuove tecnologie della mobilità hanno reso l'auto un prodotto sempre più standardizzato, portando contestualmente le imprese a ingrandirsi per raggiungere delle economie di scala necessarie per rimanere competitive.
In questo contesto la capacità industriale italiana si è ridotta, ed è stata in parte compensata dalle maggiori collaborazioni della filiera della componentistica con i mercati esteri. Un processo che negli ultimi anni ha vissuto una ulteriore accelerazione, con la transizione dai propulsori legati ai combustibili fossili a tecnologie più sostenibili.
A oggi, l'elettrificazione è la tecnologia più matura per ridurre l’impatto ambientale della mobilità privata: con questa premessa, l'associazione Motus-E, in collaborazione con il CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation dell’Università Ca’ Foscari Venezia) ha condotto uno studio sul percorso necessario per la transizione verso la mobilità elettrica, i cui risultati sono stati presentati nel "Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano".
L'evoluzione tecnologica al centro della transizione
Tra il 1989 e il 2021 la produzione di automobili in Italia si è ridotta del 78%, dato che corrisponde a 1,5 milioni di unità in meno, mentre nel trentennio 1989-2019 le immatricolazioni sono diminuite solo del 16%. A partire dal 2020, però, prima l’impatto del Covid, poi la crisi dei semiconduttori e la guerra in Ucraina hanno accentuato il calo della domanda interna, che ha registrato una ulteriore contrazione del 25%.
L’analisi mostra come la filiera della componentistica abbia reagito relativamente bene al calo della produzione: le imprese che ne fanno parte hanno messo in atto un processo di internazionalizzazione che ha ridotto la loro dipendenza dal mercato interno: ad oggi, oltre il 50% della componentistica prodotta in Italia va all’estero.
Nell’ultimo secolo la filiera automotive ha affrontato cambiamenti importanti dal punto di vista organizzativo e tecnologico, pur mantenendo legata la propria attività al veicolo endotermico e al powertrain. Proprio quest’ultimo, invece, è al centro della trasformazione in atto negli ultimi anni: ecco perché, con un approccio coerente rispetto a quest’ultima affermazione, l’indagine condotta dal CAMI ha considerato non solo la filiera ‘tradizionale’, ma tutto l’ecosistema della mobilità.
Trasformare le imprese
Il rapporto pubblicato da Motus-E considera 2.400 imprese della filiera automotive, in cui lavorano 280.000 persone; 199 delle 2.400 aziende producono almeno un componente dedicato al powertrain endotermico, occupando in tutto 43.000 persone; 14.000 di queste lavorano in società la cui produzione è completamente dedicata a veicoli endotermici - e sono quindi quelle a rischio maggiore. Un ulteriore dato statistico è che, in generale, circa il 40% degli occupati più esposti al rischio è impiegato in aziende di grandi dimensioni.
Le imprese orientate al powertrain elettrico, invece, sono 107 e impiegano complessivamente 22.000 collaboratori. Importante, ragionando in ottica futura, è anche tenere presente le attività che nasceranno a servizio della nuova mobilità e il relativo potenziale in termini occupazionali. In linea di principio molte attività manifatturiere, se sviluppate, potrebbero contribuire significativamente al numero dei nuovi occupati oltre a garantire una maggiore solidità della filiera riducendone la dipendenza da fornitori extra UE. In questo contesto, per esempio, si stima che verranno creati 4.000 nuovi posti di lavoro diretti, a servizio degli impianti di produzione delle batterie già previsti in Italia.
Tutti i dati raccolti sulle 2.400 aziende mappate sono confluiti in un database dedicato, creato ad hoc.
Lo scenario al 2030
Motus-E e il CAMI hanno quindi delineato lo scenario dell’ecosistema mobilità in Italia con orizzonte al 2030. Per definire il contesto e garantire coerenza e comparabilità con altri studi già pubblicati, sono stati presi come riferimento i dati del report “E-mobility: A green boost for European automotive jobs?” a cura di Boston Consulting Group.
Secondo quelle proiezioni, entro il 2030 in Europa la produzione totale di automobili si ridurrà del 4% e le vendite dell'8%, ma allo stesso tempo la quota di auto 100% elettriche prodotte nel Vecchio Continente salirà al 59%. Contestualmente gli occupati in aziende che operano esclusivamente nell’ambito dei motori a combustione caleranno di circa il 42%, mentre tutti gli altri – cioè le persone impiegate da aziende non legate alle tecnologie a combustione – cresceranno del 10%.
Partendo da questi dati, è stato elaborato uno scenario sulla base dei risultati estratti dal database delle 2.400 aziende della filiera automotive italiana, con l’integrazione di ipotesi relative alla distribuzione e al rischio occupazionali e al grado di esposizione delle aziende italiane verso la filiera europea.
Considerando che il numero di dipendenti in aziende la cui produzione è totalmente dedicata al powertrain endotermico è contenuto, si stima che la transizione verso l’elettrico possa avere un impatto occupazionale positivo in Italia, con un incremento del 6%.
La transizione all’e-mobility rappresenta un’opportunità, che alcuni paesi europei stanno già cogliendo e su cui l'Italia deve accelerare. Come? Attraendo nuove filiere, sostenendo la riconversione e facilitando l’adozione di nuove tecnologie.
Il report evidenzia anche come le aziende prese in considerazione possano essere divise in due gruppi, in base al tipo di impatto che si troveranno ad affrontare - tecnologico, come nel caso di un’azienda la cui produzione include componenti per l’endotermico che dovrà affrontare la transizione verso nuove tecnologie; o di competitività, legato alla domanda del mercato e alla concorrenza da parte di competitor stranieri.
Prepararsi al futuro
Come mitigare i possibili impatti della transizione? Le imprese esposte a un impatto tecnologico dovranno essere sottoposte a un'analisi approfondita per programmare una riconversione. Le imprese che già oggi sono impiegate nella filiera dei veicoli elettrici dovranno invece reagire alle variazioni delle dinamiche di mercato: per questo è importante creare le condizioni necessarie a renderle competitive nel contesto europeo, supportandone lo sviluppo.
Considerando le proiezioni contenute nel report BCG, che includono una quota di veicoli elettrici pari a oltre il 50% sia per le vendite, sia per la produzione europea nel 2030, Motus-E sottolinea come sia fondamentale già oggi porre le condizioni che permetteranno alle aziende italiane di soddisfare la domanda che questo cambiamento tecnologico comporterà. Oltre alla filiera della componentistica al servizio dei costruttori, è importante considerare anche le specificità che avranno servizi post-vendita come la manutenzione, la gestione delle batterie alla fine del ciclo di vita e il loro riciclo.
Fonte: Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano - Motus-E
VGI | U.O. Responsabile: VP | Data di creazione: data dell’articolo | Classe 9.1