Le città del futuro? Più panchine e meno auto
Secondo l'urbanista Fred Kent abbiamo passato gli ultimi 70 anni a costruire città per le automobili e non per le persone. E ciò le ha rese meno vivibili. Ma come si possono cambiare le cose?
Fred Kent è un urbanista e il fondatore dell'organizzazione no-profit Project for Public Spaces che lavora per trasformare le città in luoghi a misura d'uomo. Vive da 30 anni a Brooklyn, nel quartiere di Cobble Hill. Dalla finestra di casa sua può vedere il nipotino che gioca a scuola durante la ricreazione, camminando lungo i viali può entrare in una macelleria italiana gestita dalla stessa famiglia da tre generazioni, oppure fermarsi sotto una delle vecchie querce per chiacchierare con qualche vicino. Cobble Hill è un quartiere a misura d'uomo, che ogni architetto impegnato sul fronte placemaking vorrebbe poter riprodurre in tutte le città del mondo. In passato le città erano progettate per le persone e non per le automobili, ma nel corso dei decenni le cose sono drasticamente cambiate. La soluzione per riavvicinarsi a quella realtà, però, non è vietare la circolazione dei veicoli, quanto piuttosto regolarla al meglio considerando le esigenze di ogni area urbana e pensando prima di tutto alle persone.
Kent non usa l'auto per muoversi a Brooklyn, preferisce la bicicletta, la metropolitana o semplicemente camminare, anche se il suo ufficio ha a disposizione una vettura - condivisa da dieci persone. La sua opinione? Da molti anni le città non vengono progettate pensando a chi ci vive. Nelle zone periferiche, ad esempio, ci sono aree verdi inutilizzate senza nemmeno una panchina per sedersi e parlare. Le persone sono isolate e hanno paura di entrare realmente in contatto. Ma del resto non possono fare diversamente, perché non ci sono luoghi deputati alla socializzazione. Gli spazi pubblici fanno paura e il primo problema è controllarli. La conseguenza è che le città diventano sterili, ma fortunatamente qualcosa sta cambiando.
In questo scenario le automobili hanno una posizione privilegiata. Se si guardano le foto delle città scattate prima del 1940 si osservano auto, biciclette, tram e pedoni che condividono lo stesso spazio. Una complessità che genera vitalità. Per rendere una zona più vivibile e a misura d'uomo bisogna partire dalle persone e parlare con loro, cercando di capire che cosa piace del proprio quartiere, quello che non sopportano e che cosa vorrebbero cambiare. La comunità va stimolata a prendersi la responsabilità di ciò che la circonda e ad agire; non possono essere gli esperti che vengono da fuori a dire agli abitanti di un quartiere quello che dovrebbero o non dovrebbero fare.
A volte c'è molta differenza tra quello che le persone pensano di volere e quello che vogliono realmente. In una piccola città del New Hampshire, nella strada principale che l'attraversa, c'era l'abitudine di parcheggiare le auto davanti a ogni negozio, guidando solo per pochi metri e ripartendo di nuovo. È bastato rimuovere alcune siepi e recinzioni e riempire quegli spazi con negozi, parcheggi e bar per far sì che la gente si spostasse a piedi lungo quella stessa strada. La chiave di tutto è capire quello di cui hanno realmente bisogno le persone, che cosa può cambiare i loro comportamenti, o ancora se un diverso tipo di veicoli possa essere più efficiente.
Anche in un luogo vivo e multiculturale come Time Square, nel cuore di New York City, c'è troppo spazio per le auto e troppo poco per i pedoni. I viali sono troppo larghi, i marciapiedi troppo piccoli. Quando si progetta un luogo dovrebbero essere le auto a integrarsi nello scenario, e non lo scenario a dover essere fatto su misura per loro. I luoghi pubblici sono sempre stati spazi di socializzazione e ora non lo sono più. Il messaggio di Kent è forte e chiaro: bisogna restituire gli spazi pubblici alle persone.
Fonte: TOGETHER.net – Volkswagen AG